Non amiamo le commemorazioni, specialmente se calendarizzate come «giornate commemorative», destinate sempre a fallire come atti formali dovuti a riti vuoti di liturgie superstiti. Se un dramma come la Shoàh diventa una data fissa di calendario, perde ogni dirompenza e la «memoria» diventa pleonastica. Per questo, anche nel 2020 vogliamo cantare fuori coro una canzone vera, dal di dentro. Sì! Non vogliamo commemorare la Shoàh, ma «viverla», anzi abitarla, assaporandola come coloro che sono stati obbligati dalla vergogna violenta del nazifascismo a scendere nell’inferno con, l’internamento, la tortura, la morte. Vogliamo stare con i deportati di quegli anni infami, senza possibilità di sfuggire a un destino ingiusto e tremendo, disumano e per questo blasfemo…