La domenica 7a del tempo ordinario-A conclude il capitolo 5 del vangelo di Matteo, riportando le ultime due antìtesi/contrapposizioni tra la «nuova giustizia» (cf Mt 5,20), annunciata da Gesù, e la tradizione giudaica che aveva caricato di prescrizioni minuziose l’osservanza della Toràh, rendendola di fatto inaccessibile e impossibile ai poveri e ai semplici. Presentandosi come colui che può dire: «Vi è stato detto dagli antichi [cioè dalla tradizione]… ma io vi dico», Gesù si stacca da una prassi chiusa in se stessa che vuole perpetuarsi immutata, anzi deformata. Nessuna tradizione, infatti, sarà mai «pura» perché tutte le tradizioni sono inevitabilmente legate ai loro tempi, di cui riflettono mentalità e cultura. Ogni tradizione nasce in un determinato contesto sociale e in un preciso tempo, e quindi, per definizione, è «relativa», anche se s’impone nel breve periodo di qualche generazione. Passando da tempo in tempo e di generazione in generazione, essa necessariamente si «sporca» e si contamina, nonostante le precauzioni che si possono prendere. Nulla e nessuno è immune dal contagio generazionale, culturale, psicologico e sociale. Voler imporre qualsiasi «tradizione» come definitiva e immutabile, in base al principio stolto del «si è sempre fatto così…», è un atto antistorico, antiumano e falso…