La 4a domenica di Pasqua è detta, comunemente, «del Buon Pastore», perché in questa domenica, nel ciclo dei tre anni (A-B-C), si proclama per intero il capitolo 10 del vangelo di Gv che presenta Gesù come «il Buon Pastore». Traducendo alla lettera, abbiamo l’espressione «il Pastore bello» (ho poimên ho kalòs; Gv 10,11), di cui parleremo nell’omelia. Le domeniche pasquali, che sono sette,[1] hanno la funzione di farci assaporare più intimamente il mistero pasquale, celebrato nei giorni del santo triduo. L’espressione «Mistero pasquale», infatti, non è una formula magica o misteriosa, riservata agli adepti di una nuova religione. Essa è la sintesi felice di tutta la vita di Gesù che sulla croce e nella risurrezione, è stato costituito «Signore e Cristo» (At 2,36). Essa, infatti, racchiude cinque momenti della vita del Signore: la passione, la morte, la risurrezione, l’Ascensione e la Pentecoste. A Pasqua abbiamo vissuto i primi tre momenti di questo «unicum», mentre nel tempo pasquale ci apprestiamo a celebrare gli ultimi due, l’ascensione e la Pentecoste, attraverso un cammino di preparazione e decantazione…

[1] Il numero «sette» è obbligatorio in quanto necessario per compiere la «cinquantina» (7 settimane x 7 giorni formano 49 giorni), cioè lo spazio che intercorre tra Pasqua e Pentecoste che si celebra cinquanta giorni dopo Pasqua.