Con la domenica di oggi si conclude l’anno liturgico dell’anno-C, e con esso si chiude anche l’intero ciclo triennale di letture della Bibbia. In tre anni abbiamo letto quasi tutta la Bibbia, almeno nelle parti essenziali[1].

[1] Questa ricchezza è stata messa a rischio da papa Benedetto XVI con il motu proprio «Summorum Pontificum», che ha ripristinato il messale di Pio V del 1570, secondo l’ultima edizione del 1962, voluta da papa Giovanni XXIII che vi ha apportato due modifiche: l’abolizione del «pro perfidis Judeis» nella preghiera universale del Venerdì Santo e l’aggiunta del nome di San Giuseppe nel canone della Messa. Certo, il papa ha detto che si può usare il lezionario riformato di Paolo VI, ma è proprio quest’ultimo che vogliono abolire coloro che chiedono la Messa di Pio V, volendo tornare indietro ed eliminando di fatto la «mensa della Parola» a beneficio di quello che loro chiamano «l’altare del sacrificio», perché non possono vivere senza scorrimento di sangue. Invece di aumentare la possibilità di accesso alla Sacra Scrittura, Parola di Dio che si fa storia, la si diminuisce, per tornare alla povertà del messale precedente, dove è quasi inesistente la presenza dell’AT. Sarà la storia stessa a dire che il motu proprio è stato un errore tragico dalle conseguenze drammatiche. Sulla questione dal punto di vista storico, liturgico e teologico, cf P. Farinella, Ritorno all’antica Messa. Nuovi problemi e interrogativi, Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano (VR), 2007.