MORIRE DI COVID, MA NON RASSEGNATI!

Memoria del 1° anniversario di Bruna Coletti,
vittima della Sars–Covid-2

Insieme a Valentina e Rosalino (deceduti in Ecuador),

i parenti di Bruno Luciano,

Arrigo Ghillino al Galliera ed Ettore di Flora Tamperi
a San Martino di Genova

[TESTO DI PRESENTAZIONE DELLA NEWSLETTER:]

Sono testimone di rapimenti anomali non per mano di briganti, ma da Covid-19. Il mostro non solo ha rapito le persone amate che mai avremmo abbandonato, ma si è accanito attorno alla morte, scavando un solco e un fossato invalicabili anche ai sentimenti più primordiali e naturali. I mariti, i figli, le mogli, i nipoti, i fratelli e le sorelle, tutti prigionieri del dolore e della loro ansia in casa, impediti, per necessità o timore di contagio, mentre gli afferrati dal Covid erano soli in ospedale tra astronauti e sub con maschere e caschi e tute spaziali. Una cosa sola era evidente: impossibile toccare, toccarsi, abbracciare, baciare, impossibile prendere la mano e carezzare il volto dell’amore di una vita. Muti anche loro come agnelli condotti al macello. Ogni volta che colpisce, il Covid raddoppia: si prende chi muore e rapina chi resta; uccide il fragile e sequestra il vivente.

Ho voluto dedicare la «Domenica di Passione» (conosciuta anche come «Domenica delle Palme») a loro, ma non in modo astratto, ma in modo affettivo ed emotivo, CHIAMANDOLI PER NOME. Ho vissuto alcune morti, una in particolare l’ho vissuta a lungo, attraverso la corrispondenza in contemporanea e successiva alla morte di Bruna Coletti, moglie del Prof. Vittorio e madre di Giovanni. A loro e agli altri ho pensato intensamente e colgo l’occasione della circostanza del I anniversario della sua morte per fare una riflessione che nello stesso tempo è «memoriale», pensiero, smarrimento e anche qualche interrogativo.

Il centurione romano gridò il suo sgomento davanti a Gesù «avendolo visto morire in quel modo» (Mc 15,30); e io mi sono chiesto da quale abisso siamo stati risucchiati, «avendo visto il modo» di morire dei nostri cari. Il centurione intravvide uno squarcio di divinità, che oggi è quasi del tutto scomparsa anche per responsabilità di una religione incapace di essere umana perché lontana dal possibile divino.

Affido a quanti lo desiderano questa riflessione, frutto di esperienza e di passione nel duplice senso di sofferenza e di ardore del cuore amante che non si rassegna di fronte alle sedicenti evidenze, ma non cessa di interrogarsi, trovando sempre risposte che rimandano ad altre domande.

In tempo di superficialità senza limiti, fermarsi per la consapevolezza che «le cose importanti hanno bisogno di tempo, tanto tempo» (A. Saint-Exupery, Il Piccolo principe), fermarsi per questo è forse il solo modo per dire a noi e confidare a tutti che i nostri Cari sono importanti, molto importanti per noi e noi abbiamo tempo per loro e con loro.

Genova, 26-03-2021

Paolo Farinella, prete